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PSICOLOGO MICHELA CARMIGNANI
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Le “vittime” del bullismo

Per inquadrare il fenomeno del bullismo è utile osservarne la dinamica da diversi punti di vista. Non è sufficiente, infatti, soffermarsi su un unico elemento di questa dinamica, il bullo, per comprenderla. Una parte in gioco, anche se passiva, è la vittima. Chi assume questo ruolo tende ad assumere una serie di comportamenti relazionali che, anziché ostacolare l’attività di chi molesta, la alimentano in un circolo vizioso nel quale ognuno “gioca” la sua parte. Tenere conto del contributo di chi viene vittimizzato non significa giustificare l’aggressore, né, tanto meno, ritenere semplicisticamente che chi subisce una violenza assume consapevolmente comportamenti a rischio. È invece un modo per comprendere ciò che accade in vista di un intervento che aiuti da una parte il bullo a sentirsi importante, senza essere aggressivo, e dall’altra la vittima a percepire il proprio potere e, dunque, alternative efficaci per proteggersi. I comportamenti che di solito assume la vittima comunicano impotenza. Chi si trova in questa situazione tende a sentirsi sprovveduto e a ritenere che gli altri lo percepiscano debole e poco importante. Da qui la difficoltà della vittima ad attivarsi per ottenere un aiuto dalle persone vicine. Altra caratteristica è una scarsa capacità di soluzione dei problemi, ossia, di fronte alle difficoltà che incontra, tende a scoraggiarsi piuttosto che a visualizzare un percorso per affrontarle. Oltre ad essere vittima, “fa” la vittima, nel senso che subisce passivamente, mostrando soggezione al bullo che ottiene così un potente riconoscimento al proprio ruolo. Un modo per intervenire a scuola è attraverso percorsi formativi con cui “equipaggiare” ragazzi e ragazze, dotandoli di strumenti per affrontare le difficoltà della vita relazionale. Attraverso  giochi di ruolo ed esperienze mirate, viene facilitato lo sviluppo di abilità quali la soluzione di problemi e la gestione costruttiva del conflitto. Per varie ragioni è opportuno coinvolgere l’intero gruppo classe: per non etichettare come problematico il bullo e come carente la vittima; ma anche per responsabilizzare il gruppo di ciò che avviene nel suo contesto, attivando tutti i componenti a osservarsi reciprocamente, lasciando così meno spazio al bullo e meno sola la vittima.

Michela Carmignani

Pubblicato su “il quartiere”, aprile 2005

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