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I perchè dell'intervento |
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Nel 1971, a soli 8 anni dalla fine dell'ultimo restauro (v. interventi
precedenti) , nel corso di un convegno internazionale il soprintendente
dell'epoca, Valcanover, lancia l'allarme a causa di alcuni danni già
visibili sugli affreschi di Giotto.
Quello appena effettuato non era stato un cattivo restauro, ma la
sottovalutazione della necessità di effettuare ciclici interventi
di controllo e manutenzione sull'edificio e sull'ambiente, oltre e
prima che sul manufatto, e soprattutto l'affermarsi di un fenomeno
dirompente - ai fini conservativi - quale l'inquinamento avevano fatto
in modo che il deterioramento di quegli affreschi riprendesse e anzi
subisse una inaspettata accelerazione, se si considera che tra il
restauro Tintori e il precedente erano trascorsi più di 60
anni.
I danni subiti dalla Cappella a seguito del terremoto che nel 1976
sconvolse il Friuli indusse i responsabili della tutela del monumento
ad accelerare i tempi e in particolare a chiedere all'Istituto Centrale
per il Restauro di prendersi cura del ciclo giottesco affinchè
l'intervento di restauro fosse condotto nel modo più corretto
e pertanto più duraturo.
In effetti l'Istituto diede al problema della conservazione dei dipinti
di Giotto una impostazione profondamente innovativa, capovolgendo
la prassi tradizionale che prevedeva l'intervento sul manufatto indipendentemente
dallo studio e dall'eventuale intervento di adeguamento dell'ambiente
e di conservazione dell'edificio, che invece debbono precedere.
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