Sito del restauro della Cappella  degli Scrovegni Ministero per i Beni e le Attività Culturali Istituto Centrale per il Restauro
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1700 /1800
Il primo accenno allo stato di conservazione degli affreschi della Cappella si trova nella guida di un erudito locale, il Brandolese, pubblicata sul finire del Settecento. La condizione dei dipinti murali è, a suo giudizio, abbastanza buona.
Tuttavia già trent'anni più tardi il Rumohr dà una valutazione decisamente pessimistica dello stato conservativo, asserendo che gli affreschi si trovano in una condizione "tristissima" perchè sarebbero stati lavati da una mano rozza e poi ridipinti a tempera; la sua testimonianza suscita però notevoli perplessità dato che non si è trovata traccia di ridipinture, quanto meno in forma così generalizzata. Appaiono invece più attendibili le specifiche notazioni di carattere conservativo dedicate da Pietro Selvatico ad alcuni riquadri o brani del ciclo giottesco un decennio più tardi.
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1817
Nel 1817 crolla il portico addossato alla facciata della Cappella mentre dieci anni più tardi viene portata sostanzialmente a compimento la demolizione dell'attiguo palazzo.
Chi allora si occupava non dilettantescamente di simili problemi aveva la percezione esatta della funzione protettiva di quelle due strutture: è infatti lo stesso Moschini che, dopo aver dato la notizia del crollo del portico, si affretta ad aggiungere "Quindi ne avviene che va più sempre scapitando la pittura della interna parete", mentre in seguito il Cavalcaselle proporrà di considerare l'utilità di mettere in opera sulle murature esterne, in particolare sulla parete nord e sulla facciata, una "compatta cementazione". In quel periodo (1857) la facciata non era stata ancora ridotta con i mattoni a vista, ma era decorata da affreschi dei quali ci resta testimonianza in una foto del 1865.
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1871
Nel 1871, per rendere possibile un intervento sull'arco trionfale senza recare nocumento ai dipinti, Guglielmo Botti venne incaricato di staccare alcune porzioni di affresco per ricollocarle poi nella sede originaria, una volta effettuato il consolidamento della muratura. Già due anni prima lo stesso restauratore era intervenuto sulla parete del Giudizio, eseguendo operazioni di riadesione dell'intonaco e della pellicola pittorica, che avevano dato esiti nettamente soddisfacenti. Tuttavia, le tecniche di intervento utilizzate dal Botti
In un altro importante ciclo di dipinti murali trecenteschi padovani (Oratorio di S. Giorgio), suscitarono polemiche e il restauro dell'intera decorazione della Cappella fu pertanto affidato ad Antonio Bertolli, pittore e restauratore padovano, non prima però che venissero eseguiti i necessari lavori di conservazione del monumento.
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1881
Il progetto di restauro della Cappella, come si evince da una lettera inviata il 2 luglio 1881 dal sindaco al direttore dei lavori architetto Maestri, ne prevedeva la "restituzione allo stile primitivo". La giunta comunale "per prudenza" e in ossequio "alle ragioni gelose della storia", aveva ritenuto eseguibili solo quegli interventi che interessavano "la conservazione dell'incomparabile monumento [...] senza aggiunte né rifacimenti", quali ad esempio lo sterro dei fianchi e del piazzale della Cappella e la demolizione degli intonaci della facciata "Liberando dallo scomposto ed assurdo intonaco del barocco seicento la facciata - conclude la lettera - ha reso un beneficio grandissimo alla muraglia, ne ha fatta leggibile la storia e ne ha smascherata senza intacco la primitiva e schietta eleganza". Se questa era l'opinione del massimo consesso cittadino, è facile immaginate che accoglienza avrebbe potuto ricevere, quattro anni più tardi, la proposta di rivestire di intonaco le pareti esterne della Cappella per ovviare al "deperimento degli affreschi". Venne infatti respinta all'unanimità e ci si limitò ad accogliere il suggerimento del Maestri di chiudere buchi e mancanze presenti sulla faccia esterna della parete nord.
In quella stessa occasione fu però sollecitato l'approfondimento con metodologia scientifica del problema dell'umidità nelle murature per stabilire se ad essa fosse da imputare il deterioramento degli affreschi.
I risultati dello studio, affidati al chimico Pietro Spica, confermarono l'ipotesi che la muratura di supporto agli affreschi "deperiti" contenesse una percentuale di acqua maggiore rispetto a quella sottostante ai dipinti in buono stato.
Quanto ai rimedi, fu accettata all'unanimità la proposta del Bertolli di staccare i due riquadri più deteriorati (Disputa con i Dottori e Salita al Calvario), per applicarli su un nuovo supporto in rame e ricollocarli alloro posto dopo aver praticato nella parete una sorta di intercapedine in modo da evitare il contatto fra retro dell'affresco staccato e muratura umida. La soluzione fu, per quei tempi, piuttosto ingegnosa e del tutto originale. Ma soprattutto parve agli interessati pienamente adeguata ad affrontare positivamente la più grossa difficoltà operativa, superata la quale poter procedere senza remore all'intervento complessivo sugli affreschi.
Questi ultimi infatti, vennero tutti restaurati, cioè consolidati e puliti, ma non reintegrati pittoricamente per espresso divieto della commissione, che aveva consentito solo una stuccatura "a neutro" delle mancanze di intonaco per ovviare al disturbo che avrebbe potuto provocare il lasciare in vista la tessitura muraria.
I lavori andarono avanti per una decina d'anni, sicché allo scadere del secolo poteva apparire felicemente conclusa la lunghissima vicenda del salvataggio del ciclo giottesco.
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1885
Gli affreschi della facciata esterna furono demoliti in occasione dei lavori di restauro cui il monumento fu sottoposto subito dopo l'acquisto da parte del Comune (1880). Già prima, in realtà, grazie soprattutto all'impegno della Commissione animata dal marchese Selvatico, il Comune era potuto intervenire con operazioni di consolidamento resi indilazionabili dalla necessità di prevenire danni gravi e irreparabili all'edificio e di conseguenza agli affreschi di Giotto. L'isolamento della Cappella in seguito alla demolizione del palazzo, i danni subiti a causa del crollo del portico, l'assenza di manutenzione soprattutto negli ultimi decenni, avevano infatti reso precaria la situazione statica dell' edificio.
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1936
È solo agli inizi del 1936 che, in una comunicazione al podestà, viene attirata l'attenzione sulla situazione, giudicata piuttosto allarmante, degli affreschi e della Cappella in generale. L'autore, il presidente della ricostituita Commissione conservatrice (la prima aveva cessato di esistere nel 1928), segnala che l'architrave del portale è spezzato, che il serramento della trifora in facciata ed il tetto della cappella non tengono bene la pioggia e, soprattutto, che "le decolorazioni e gli indizi di farinatura degli affreschi" erano progredite negli ultimi anni. Ciò viene imputato "quasi esclusivamente" all'umidità "risalente da ristagni di acque freatiche e pluviali raccoglientesi nel piano sottostante alla Cappella", fenomeno agevolato dal fatto che il fianco nord dell'edificio era rimasto interrato, a differenza di quello sud, sterrato fino al livello del pavimento del sotterraneo, comprese le finestre.
Al di là dei suggerimenti di (parziale) intervento, è interessante il tentativo di individuare più precisamente l'origine del fattore di deterioramento, l'umidità, da sempre ritenuto responsabile del particolare tipo di degrado degli affreschi.
La necessità di rispondere con sollecitudine ai problemi posti da due eventi di emergenza - il terremoto del 18 ottobre dello stesso anno e, poco dopo, il secondo conflitto mondiale - fece sì che ancora una volta fosse accantonata la questione del degrado per così dire non traumatico del ciclo giottesco. I danni causati dal terremoto avevano reso indifferibile un intervento di consolidamento statico dell'arco trionfale. Durante la guerra, poi, era stato preparato un progetto di bunker in cemento armato, di cui si riuscì solo a gettare le fondazioni ai due lati dell'edificio, essendo venuti a mancare i materiali di costruzione.
La Cappella scampò miracolosamente alla distruzione che invece colpì la vicina chiesa degli Eremitani ed in particolare la Cappella Ovetari, ma la forte impressione suscitata dall'evento permase a lungo, tanto che ancora agli inizi degli anni cinquanta una Commissione internazionale discusse approfonditamente di come si sarebbe dovuto salvaguardare il monumento in caso di nuovo conflitto armato.
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1952
L'asportazione della polvere che si era depositata in quantità preoccupanti sui dipinti, soprattutto in occasione della rimozione delle difese belliche, e il consolidamento dei colori polverulenti, soprattutto l'azzurro costituirono i problemi principali degli affreschi all'indomani della seconda guerra mondiale. Spesso, data l'estensione dell'azzurro, i due fenomeni erano compresenti e di conseguenza il problema diventava quello di come rimuovere la polvere parzialmente mescolatasi al colore polverulento con il minimo di danno per quest'ultimo. Una prova fatta fare nel 1952 a Mauro Pelliccioli, allora il più noto restauratore italiano, fu vivacemente criticata sia per l'impiego di materiali risultati non idonei alla soluzione dello specifico caso (benché consolidati dall'uso), sia per una inadeguata impostazione metodologica dell'intervento.
L'affidamento all'Istituto Centrale del Restauro (il cui direttore Brandi aveva svolto un ruolo primario in seno alla Commissione internazionale) della responsabilità tecnica dell'intervento creò le premesse per un'adeguata soluzione del problema. Il fatto nuovo fu rappresentato dalla possibilità di impiegare prodotti sintetici che, sperimentati fuori dal nostro Paese, e generalmente a fini industriali, venivano introdotti allora nel campo del restauro. Il clima culturale generale era nel frattempo assai mutato, per cui, ad esempio, la sostituzione di un prodotto o di una tecnica ad un'altra non era più lasciata all'improvvisazione del restauratore, ma affidata alle valutazioni di un'equipe multidisciplinare. Inoltre, per la prima volta nella storia conservativa della Cappella, l'attenzione fu rivolta in modo programmatico all'ambiente (inteso in senso microclimatico) oltre che al manufatto ed al suo supporto-contenitore; cosicché, allorquando, agli inizi del decennio successivo, l'intervento sul ciclo giottesco fu affidato a Leonetto Tintori questi poté contare su una serie di dati di supporto prima impensabili.
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1961- 1964
I lavori di restauro di Leonetto Tintori proseguirono per circa tre anni, dal 1961 al 1964, e interessarono anche gli affreschi del presbiterio e dell'abside. Immediatamente prima erano stati effettuati interventi notevolissimi per migliorare la statica della Cappella. Quanto alle condizioni ambientali, a parte lo sterro in corrispondenza della parete nord (e le usuali operazioni di manutenzione su infissi, tegole, ecc.), non si ritenne necessario mettere in opera altri interventi, dato che i valori di umidità nelle murature erano risultati sostanzialmente normali; non erano stati inoltre rilevati fenomeni di risalita capillare e comunque la situazione dell'ambiente sotterraneo sembrava aver raggiunto un suo equilibrio termoigrometrico e svolgere inoltre una funzione stabilizzante sotto l'aspetto geomorfologico. Rimaneva tuttavia da risolvere il problema più inquietante: il progressivo anche se lento deterioramento del colore. Questo aspetto non era stato infatti approfondito, come sarebbe stato necessario, perché l'Istituto Centrale del Restauro non possedeva ancora quelle apparecchiature che gli avrebbero consentito di effettuare le specifiche indagini, rese invece possibili nei meglio attrezzati laboratori del Centro di Conservazione dell'Istituto di Belle Arti dell'Università di New York. Dagli studi condotti presso quella sede risultò dunque che la causa di quel particolare degrado degli affreschi di Giotto, vale a dire il progressivo polverizzarsi del colore, era da imputarsi all'inquinamento atmosferico, più che ad altri fenomeni (umidità, passati interventi di restauro) fino allora ritenuti gli unici o, quanto meno, i principali responsabili del deterioramento. Trattandosi di un fenomeno assolutamente nuovo, specie in ambiente chiuso, non era facile comprenderne immediatamente l'esatta portata. Dovevano trascorrere ancora parecchi anni prima che il problema venisse affrontato in tutta la sua complessità con metodologie e strumentazioni adeguate. Già nel corso della riunione della Commissione internazionale, comunque, erano stati avanzati interessanti suggerimenti: per esempio, l'inerbimento dello spiazzo antistante la Cappella (Coremans) o l'installazione di una doppia porta per ridurre l'infiltrazione di polvere dall'esterno (Lo Vullo).
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1976
Vent'anni dopo le indicazioni della Comissione internazionale, il direttore dell'Istituto Centrale del Restauro, Urbani, si recò sul posto per controllare lo stato di conservazione degli affreschi, ma né l'una né l'altra indicazione erano state accolte e realizzate, col risultato che i dipinti erano di nuovo impolverati. Egli ribadì quelle proposte e ne aggiunse alcune altre elementari: l'asfaltatura dei viali pedonali, l'aumento dell'aggetto del tetto, il controllo annuale delle quote dell'umidità di risalita sulle murature dell'ambiente sotterraneo, la riparazione della lesione sull'angolo destro della facciata, in alto.
Il terremoto che da lì ad un paio di mesi colpì gravemente il Friuli (1976) richiamò con forza l'attenzione sulla Cappella: si aggravarono infatti la lesione sulla facciata e quella che interessava la volta; inoltre si procurò un distacco fra questi due elementi dell'edificio. Entro la fine dell'anno fu posto riparo sia ai danni alle strutture murarie che a quelli, conseguenti, ai dipinti e, subito dopo, prese il via un piano mirato di indagini scientifiche ideato e coordinato dall'Istituto Centrale del Restauro.
Era la prima volta che un monumento veniva sottoposto ad un piano globale di ricerche programmate in modo interrelazionato allo scopo di assodare non solo quali fossero gli agenti e i meccanismi di degrado, ma anche che cosa fare per rallentare il più possibile tale processo, essendo impossibile (ma allora tale nozione non era di dominio comune) bloccarlo.
Data la valenza di 'progetto pilota' che venne immediatamente riconosciuta all'iniziativa, furono coinvolti i più importanti centri di ricerca italiani con esperienza nel campo della conservazione e vennero attivate le più avanzate metodologie di indagine.
Risultò confermata la solfatazione quale principale meccanismo di degrado della pellicola pittorica, con l'inquinamento in funzione di massimo agente, l'umidità di catalizzatore e la polvere di veicolante.
I provvedimenti indicati per rendere l'ambiente idoneo furono sostanzialmente di due tipi: dato che la massima via di accesso a polvere e inquinanti era costituita dalla porta sulla facciata si sarebbe dovuto chiuderla e coibentarla, ripristinando l'accesso laterale sulla sinistra e facendolo precedere da un "ambiente di ricezione-biglietteria opportunamente condizionato" da sistemare nel giardino pubblico. Per eliminare gli squilibri termici prodotti dalle finestre della parete sud e dal sistema di illuminazione artificiale con lampade ad incandescenza si sarebbe dovuto mettere in opera delle controvetrate, impiantare davanti alla parete finestrata alberi d'alto fusto a foglie perenni e sostituire le lampade esistenti con altre a vapori di mercurio.
Il progetto non era e non voleva essere operativo, cosicché le soluzioni allora trovate non furono tradotte (e non era compito dell'Istituto Centrale del Restauro) in interventi tecnicamente e finanziariamente definiti.
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1985
Sul finire del 1985 l'Istituto Centrale del Restauro è stato ulteriormente coinvolto per la messa a punto del progetto vero e proprio nonché per valutare l'opportunità di un intervento di restauro sul ciclo giottesco e, in caso affermativo, garantire la propria disponibilità ad assumerselo in proprio. L'Istituto, forte delle riflessioni precedenti, era convinto che si potevano prendere provvedimenti di semplice attuazione e di sicura economicità, dietro ai quali stava un modo completamente nuovo di intendere l'attività di restauro: una attività rivolta non solo al manufatto artistico, ma anche al miglioramento dell'ambiente in cui esso si trova (affinché l'opera non necessiti di nuovi interventi di restauro bensì, se è il caso, di semplici operazioni di controllo e di ordinaria manutenzione), senza tuttavia un intervento diretto. L'ipotesi, infatti, era quella di condizionare non l'invaso della Cappella, ma la 'protesi' antistante al nuovo ingresso laterale. La differenza, come si può facilmente intuire, è sostanziale: intervenendo su un ambiente 'ausiliario', collegato ma indipendente sotto l'aspetto micro-climatico, non si rischia di alterare il fragile equilibrio che (quando, ovviamente, non vi siano agenti di danno o di deterioramento in atto) si è venuto a stabilire nel corso dei secoli tra affreschi, mura- ture e ambiente interno della Cappella.
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1988 - 1991
Dal 1988 al 1991 l'Istituto Centrale del Restauro ha condotto una sistematica ricognizione dello stato di conservazione delle decorazioni murali della Cappella, documentandolo sia a mezzo di rilevamenti grafici che di fotografie ed effettuando i necessari interventi d'urgenza sulla superficie pittorica. È stato messo a punto un sistema di estrazione dei solfati presenti nella pellicola pittorica al di sopra dell'intonaco che poteva contentire di liberarla da queste sostanze deterioranti una volta ricondotto alla normalità l'ambiente interno del monumento.
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1991 - 1994
Il Comune di Padova nomina una più ampia e specifica Commissione Scientifica di esperti di settore, per la programmazione ed il controllo delle successive campagne diagnostiche di misura e controllo degli interventi di risanamento dei fenomeni di squilibrio o degrado, man mano accertati.
Viene eseguita un'estesa campagna di indagini fisico - chimiche di riconoscimento e diagnosi dei fenomeni di degrado in atto sui paramenti murari esterni d'ambito ed in particolare su quello di facciata e viene redatto ed eseguito l'intervento di restauro conservativo del paramento murario di facciata.
Partono anche i nuovi cantieri dell'Istituto centrale per il restauro, a cadenza annuale, per il proseguo del rilievo, della mappatura, dello studio, delle indagini chimico - fisiche di controllo del degrado e per localizzati interventi di urgente salvaguardia e manutenzione conservativa straordinaria degli affreschi di Giotto e più in generale della Cappella degli Scrovegni.
Viene Installato un impianto di monitoraggio in continuo per il rilevamento e lo studio delle variazioni stagionali negli scambi igrometrici tra superfici affrescate e ambiente interno e redatto il Progetto di monitoraggio ambientale (in continuo) della qualità dell'aria e del microclima della Cappella.
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1995 - 1996
Viene redatto il Progetto esecutivo per la realizzazione del nuovo Corpo Tecnologico Attrezzato (C. T. A.) alla Cappella degli Scrovegni.
Il monitoraggio ambientale interno per le misure di qualità dell'aria del Monumento diventa operativo e viene avviata una nuova campagna per la verifica statica della Cappella degli Scrovegni e per la bonifica del Cenobio seminterrato dalle acque meteoriche di riflusso e dai setti murari realizzati nel corso dell'ultima guerra.
L'Istituto effettua la pulizia ed il restauro delle statue di Nicola Pisano sull'altare maggiore.
Viene avviato il cantiere per la realizzazione del nuovo Corpo tecnologico,a cura del Comune.
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1997- 1998
Il Comune redige il Progetto esecutivo e realizza la sistemazione delle aree esterne al Corpo Tecnologico attrezzato e il collegamento con il Museo Eremitani.
Viene messo a regime e aperto con regolamentazione il nuovo locale di accesso (C. T. A.) alla Cappella, con chiusura e coibentazione dell'attuale portale di ingresso alla Cappella e successivo avvio di una nuova campagna annuale di monitoraggio microclimatico. Si acquisiscono, intanto, nuovi dati storici sui restauri precedenti.
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31 maggio 2000
Viene completamento attivato il Corpo Tecnologico attrezzato. Solo un anno dopo, al termine di un periodo di monitoraggio ritenuto indispensabile per verificare l'efficacia di questa misura, ha preso il via il restauro vero e proprio degli affreschi.
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12 giugno 2001
In un incontro pubblico presso il Museo civico degli Eremitani, a Padova, viene presentato il progetto definitivo di restauro che include gli interventi di somma urgenza. Il progetto è stato redatto anche sulla base dei dati raccolti in un anno, dopo la messa in opera del Corpo tecnologico attrezzato. I risultati raggiunti con il funzionamento della nuova struttura, ampiamente positivi, hanno reso possibile l'inizio dei lavori definitivi. In meno di un anno, il restauro è stato concluso.
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