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Giudizio universale, Cappella degli Scrovegni,
particolare |
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I
rapporti con i francescani
È opinione sempre più diffusa fra gli studiosi che il rapporto
privilegiato di collaborazione di Giotto con i frati mendicanti e in particolare
con l'ormai potente ordine francescano, rispecchi in qualche modo una
sorta di peregrinatio artistica suggerita e persino determinata dalle
esigenze dei francescani. È questa dinamica che portò Giotto
a Padova, dopo averlo portato ad Assisi e Rimini, all'interno di una stagione
di straordinario successo dell'ordine. Come sostiene Sante Bortolami in
"Giotto e il suo tempo", catalogo della grande mostra omonima
che si è svolta a Padova dal novembre 2000 all'aprile 2001, le
esigenze di autocelebrazione dei seguaci di San Francesco stavano trovando,
in quei tempi di salda organizzazione e di grande influenza sulle società
urbane, strumenti di eccezionale efficacia nella sempre più diffusa
devozione ai propri santi e nell'intensa opera liturgico-pastorale e di
predicazione svolta presso imponenti chiese destinate in qualche caso
a diventare grandiosi e splendidi templi della cristianità. A questo
contesto non sfugge Padova che, nella stagione di ritrovata libertà
e concordia municipale successiva alla dominazione di Ezzelino da Romano
(1237-56), aveva visto sorgere intorno all'umile primitiva chiesuola di
Santa Maria legata alla memoria del francescano Antonio di Lisbona una
enorme basilica in suo onore, un grande tempio-santuario che calamitava
un flusso possente di sentimenti civici e di pietà popolare.
L'opinione dello studioso è, dunque, che fossero stati i frati
del Santo a chiamare Giotto, non solo e non per primo, agli inizi del
Trecento e a commissionargli la decorazione del loro magnifico tempio,
in una sorta di apprezzabile emulazione coi loro confratelli dell'Umbria
e della Romagna.
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La Basilica del Santo, esterno, Padova |
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Un incontro in tre tappe
L'attività di Giotto a Padova si esplicò in tre diverse sedi
e per conto di soggetti ben individuati e distinti: nella Basilica e nell'annesso
Capitolo
di Sant'Antonio su richiesta della nutrita comunità dei frati
che vi dimoravano; nel Palazzo
della Ragione per commissione agevolmente ipotizzabile delle autorità
comunali; e infine nella Cappella di Santa Maria dell'Arena, realizzata
per decisione e grazie ai mezzi di una ricca famiglia locale, cioè
gli Scrovegni.
La cronaca del notaio Riccobaldo da Ferrara (scritta verosimilmente, secondo
i diversi pareri degli studiosi, verso il 1312-13 o il 1318), o meglio un'aggiunta
a essa risalente a un periodo non lontano dal 1338, ricorda a chiare lettere
le opere lasciate da Giotto nelle chiese francescane di Assisi, Rimini e
Padova, nonché le sue pitture nel Palazzo Comunale di quest'ultima
città. Si sa che l'affermazione è credibile, perché
sia nel 1293, quando ebbe modo di assistere addirittura a un miracolo, sia
una seconda volta, tra il 1308 e il 1313, l'autore soggiornò a Padova
e vi scrisse persino un "grande volume di storie" (magno historiarum
volumine).
Non di molto posteriore - la datazione più probabile è intorno
al 1335 - è uno scritto del giudice padovano Giovanni da Nono, contenente
un'essenziale 'guida della città', nella quale, descrivendo la volta
dell'attuale Palazzo della Ragione, la dice risplendente di un ciclo di
segni astrali dipinti magnificamente da Giotto, sommo pittore, accanto ad
altri astri, riquadri e figure, forse pure suoi, raffigurati all'interno
della stessa aula pubblica (duodecim celestia signa et septem planete cum
suis proprietatibus .. a Zotho summo pictorum mirifice laborata, et alia
sidera cum speculis et alie figurationes).
L'affermazione di questa seconda fonte è del resto avvalorata da
posteriori testimonianze, ad esempio quella del medico Michele Savonarola,
che intorno al 1440, riconoscendo l'ormai inscindibile rapporto di Padova
con Giotto (Zotus pictorum princeps vivit in nostra civitate) e l'afflusso
continuo di artisti d'ogni parte d'Italia per ammirarne le opere, annovera
fra queste ultime non solo le decorazione della Cappella degli Scrovegni,
ma anche al Capitolo del Santo.
I giudizi su possibili tracce di queste opere giottesche perdute sono, peraltro,
tuttora assai controversi.
Discussioni scientifiche a parte, si può affermare che in un arco
di tempo ragionevolmente circoscrivibile tra il 1302-03 e il 1° gennaio
1317, Giotto fu a Padova per un'intensa e diversificata attività.
Quante volte sia stato presente a Padova e quanto a lungo resta un mistero.
È possibile peraltro affermare che l'incontro di Giotto con Padova
fu prolungato e profondo, anche in base alla speciale intensità
di relazioni politiche, economiche e culturali che Padova intrattenne
con Firenze negli anni a cavallo del 1300 e che costituisce un altro punto
chiave per capire i motivi che legarono Giotto alla città ( cfr
la sezione "Padova e Giotto").
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