|
L'importanza della città
|
Padova, piazza del Prato della Valle
|
|
Un quadro completo di Padova ai tempi in cui Giotto dipinse la Cappella
degli Scrovegni è stato recentemente ricostruito dalla grande mostra
"Giotto e il suo tempo", svoltasi nella città stessa
fino nell'aprile del 2001. All'omonimo catalogo della mostra, che ospita
i contributi scientifici più rilevanti dell'iniziativa, si fa riferimento
in questa sezione.
Il contesto in cui nacquero i dipinti della Cappella, ha, infatti, alcune
caratteristiche precise, che solo di recente sono state sottolineate.
Dagli anni sessanta del Duecento, Padova aveva conosciuto un eccezionale
rilancio del suo ruolo politico, militare e diplomatico nella terraferma
veneta. Il suo ruolo crebbe ancora, proprio negli anni immediatamente
precedenti l'arrivo di Giotto a Padova
Padova era cresciuta come centro urbano ragguardevole e, con i suoi 30.000
e forse più abitanti, si collocava tra i primi quindici della penisola.
L'aumento costante della popolazione, l'espansione urbanistica, il saldo
dominio di un contado popoloso e fertile, l'articolazione delle attività
produttive e della dinamica dei ceti si erano svolti in contrappunto con
un'energica iniziativa di allargamento dei confini territoriali. Dapprima,
la pesante interferenza sulla vita di Vicenza si era trasformata in protettorato,
poi in manifesto dominio (1266-1311), seguito, nel 1272, dall'annessione
di Bassano e della Valsugana,e nel 1281 di Lonigo.
Negli anni a cavallo del 1300 c'era stata un'ulteriore accelerazione dell'espansionismo
verso sud: in un primo tempo, tra il 1292 e il 1294, su Badia Polesine
e Lendinara; nel 1308 con l'occupazione di Rovigo.
Padova, allo scadere del Duecento, era divenuta di fatto un fulcro decisivo
del cartello di forze guelfe dell'Italia nord-orientale. Famiglie, comuni,
principati ecclesiastici e vari altri soggetti politici delle Venezie
guardavano a Padova come a naturale presidio di libertà repubblicana
di fronte al minaccioso avanzare di signori quali i Della Scala o i Visconti,
ed era vista anche come un simbolo di ortodossia e fedeltà al papato.
Attraverso il potenziale delle sue risorse intellettuali, in gran parte
dovute alla presenza di uno dei maggiori e più rinomati Studi universitari
europei, i governanti padovani potevano far sentire la loro influenza
a Vicenza, Belluno, Feltre, Trento, Rovigo, Udine, Cividale, Trieste,
esportandovi in abbondanza podestà, capitani del popolo, giudici,
notai, professori, medici, prelati.
Questa eccezionale e mai più eguagliata età d'oro della
città aveva creato afflussi di capitale e un giro virtuoso di investimenti
economici, con enormi opportunità di arricchimento per frange cospicue
della popolazione. Ma il fatto più rilevante fu il superamento
di una dimensione regionale e chiusa dei propri ritmi di vita e delle
proprie prospettive.
Gli
scambi culturali
Quando Giotto approda a Padova, la città era ormai entrata da protagonista
in un largo sistema di relazioni e di alleanze che passava anche attraverso
la curia pontificia e si estendeva a tutto l'ambito tosco-padano, annoverando
gangli di particolare rilevanza come Bologna e Firenze.
Di questo accelerato processo di "sprovincializzazione" che
fu anche umano e culturale esistono molte tracce.
Senza dubbio scambi culturali vi furono nel settore della scultura e dell'architettura,
come è testimoniato dalle statue che Giovanni Pisano eseguì
per la Cappella degli Scrovegni, all'incirca nel 1304 o dalla figura del
magister murarius Leonardo Bocaleca, personaggio meno noto, ma forse non
meno valente, di fra Giovanni degli Eremitani, cui si deve tra fine Duecento
e inizi Trecento un'intensa attività nell'edilizia pubblica padovana.
Di certo il Bocaleca fu il progettista del Palazzo degli Anziani di Padova,
ma anche ingegnere idraulico e diresse ed eseguì i lavori della
fortezza di Castelbaldo,
messi in relazione con l'attività di Arnolfo di Cambio.
Un ruolo di eccellenza internazionale, poi, Padova lo svolse non solo
negli studi, grazie all'Università che vide la presenza di Marsilio
da Padova o Pietro
d'Abano, ma anche nella musica
con Marchetto, e nella miniatura,
un settore, quest'ultimo, destinato a svilupparsi per tutto il corso del
Trecento.
Dal 1328 al 1337 Padova vive politicamente un momento di crisi perché
cade sotto la dinastia degli Scaligeri. In questi anni anche la produzione
artistica conosce un periodo di appannamento. La città torna nelle
mani dei da Carrara nel 1338 e Ubertino, signore di Padova fino al 1345,
fa iniziare la costruzione di una grande reggia, rilanciando una committenza
artistica che vedrà con Francesco I, dal 1350 in poi, il momento
di massimo mecenatismo. Un periodo di grande interesse, che viene interrotto
nel 1388 con la conquista della città da parte dei Visconti.
|