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Il plastico del Centro
Nazionale per le arti contemporanee |
Questa mostra
non è una semplice mostra di architettura, ma illustra
l'intera opera di un'artista, come Zaha Hadid, che ha saputo
condensare i segni della propria creatività all'interno
di una multiforme attività, comprendente anche design,
arredo e scenografia teatrale. La mostra si tiene in via Guido
Reni, in alcuni saloni, provvisoriamente riadattati, dell'ex
caserma Montello, dove sorgerà, presto, il Centro nazionale
per le arti contemporanee che proprio da Zaha Hadid è
progettato, a seguito di un concorso internazionale.
Il progetto Hadid, ormai nella fase definitiva,
ha sviluppato in modo coerente le premesse di partenza, senza
perdere la forte carica espressiva iniziale che ha portato
alla vittoria del concorso. Il suo disegno fluido e comunicativo
riecheggia la carica dinamica delle grandi realizzazioni della
Roma barocca, citandone la spazialità avvolgente nel
gioco delle contrapposizioni concave e convesse. La potenza
espressiva di questo edificio potrà dialogare con grande
sintonia con le testimonianze della storia di Roma.
Contemporaneamente, lo sviluppo progettuale offre una risposta
ad alcune illazioni sulla difficoltosa realizzabilità
dell'edificio, la cui struttura portante si dispiega, invece,
con sorprendente semplicità (vedere le sezioni per
credere!)
Basta osservare i primi schizzi dell'edificio
romano per capire come Zaha non sia partita - come è
stato affermato - da una metodologia decostruttiva, e cioè
di smontaggio, disarticolazione, demolizione, quanto piuttosto
da una logica espressionista di assemblaggio e coordinamento
di linee di forza, flussi e scatti di energia che prendono
spunto da alcuni allineamenti urbani esistenti e attraversano
l'area di nuova costruzione delineando la forma degli edifici.
Di rimbalzo i nuovi volumi interagiscono con la maglia quadrata
del quartiere Flaminio, sconvolgendone la modularità
ripetitiva.
Come afferma la stessa Zaha nella lunga intervista riportata
nel catalogo della mostra, "...a Roma il sito diventa
realmente parte integrate della città... Si potrebbe
dire che il progetto scopre itinerari urbani che giacciono
dormienti nei contesti circostanti. Ogni spostamento nel campo
è correlato con la situazione contestuale... La città
fluisce verso l'interno, mentre il progetto fluisce verso
l'esterno..."
Ne deriva una forte permeabilità tra lotto e quartiere.
Il piano terreno del complesso museale è solo parzialmente
edificato, predominano i vuoti in una spazialità aperta,
porosa, da campus. Questo insieme di varchi e di percorsi
costituirà una vera e propria strada di attraversamento
tra le vie Guido Reni e Masaccio: un nuovo tracciato che arricchisce
la topografia della zona.
Tutto ciò porta un ulteriore contributo
all'attuale stato di trasformazione del quartiere, che si
avvia a diventare una sorta di vetrina museale dell'architettura
contemporanea in cui il complesso di Zaha Hadid sarà
in contatto visivo con l'Auditorium di Renzo Piano, con l'adiacente
futura sede dell'Agenzia Spaziale Italiana di Massimiliano
Fuksas, oltre che con quella antologia architettonica di eccellenza
costituita dagli interventi degli anni sessanta di Nervi,
Libera, Moretti. Il complesso del Foro Italico, appena al
di là del fiume, completa l'arco documentale dell'architettura
del Novecento.
Ci sono le premesse per affermare che è
in atto una nuova positiva stagione per l'architettura romana
- oltre che per quella italiana - rimaste troppo a lungo costrette
tra una tensione intellettuale ambiziosa, ma nichilista, e
la deregulation senza qualità che ha di fatto disegnato
al ribasso i paesaggi e l'ambiente del nostro Paese. Mi sembra
particolarmente significativa e incoraggiante, a questo proposito,
la tensione etica che emerge da un altro passo dell'intervista
a Zaha Hadid: "...Si tratta di dare vita a uno spazio
che, in una molteplicità di modi, offra alla gente
piacere, divertimento, comodità e benessere... Il problema
di fondo è in realtà quello di aggiungere qualcosa
alle nostre vite".
* Direttore generale della DARC
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