La miniatura
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Il capolettera di un'antifonario che riprende
la scena della deposizione del Cristo
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Un ruolo molto importante, anche per dirimere
alcuni aspetti legati alla cronologia della Cappella degli Scrovegni,
è svolto dai libri miniati coevi all'esecuzione degli affreschi.
Molto spesso, infatti, i miniatori introducevano nei loro libri immagini
desunte dal repertorio iconografico diffuso. Non bisogna dimenticare che
Padova nel corso del Trecento fu un centro molto importante di produzione
libraria e, di conseguenza, l'arte della miniatura conobbe un grande sviluppo.
Un quadro esaustivo della situazione è stato recentemente tracciato
da Marta Minazzato con lo studio "La miniatura a Padova nel Trecento"
pubblicato in "Giotto e il suo tempo" (Federico Motta editore,
nov. 2000). Soprattutto per i primi decenni, la committenza religiosa
svolse il ruolo più significativo nella produzione di miniature,
ma vi sono tracce anche di una committenza laica, come nel caso di un
esemplare del Liber introductorius (che Michele Scoto, astrologo di corte
di Federico II, aveva compilato nel 1230 ca), messo in relazione con i
perduti affreschi di Giotto nel Palazzo della Ragione, per il quale si
ipotizza una committenza dello Studio patavino.
Nei primi decenni del trecento, comunque, un posto di rilievo lo occupano
la cattedrale e il Convento francescano di Sant'Antonio, che avevano necessità
di adottare i nuovi testi liturgici secondo le consuetudini della curia
romana. Nascono così i sei "Antifonari responsoriali de nocte"
della cattedrale, all'interno dei quali sono visibili i primi riflessi
delle innovazioni giottesche. L'opera, iniziata presumibilmente negli
ultimi anni del primo decennio del trecento e conclusa nel decennio successivo,
potrebbe avere una datazione diversa da quella ipotizzata finora (un pagamento
del 19 luglio del 1306 a un certo Gerarducius, poneva un riferimento certo
come termine di lavori già conclusi, per i primi due volumi). Da
recenti studi, ancora in corso di pubblicazione, sembra che la redazione
degli Antifonari de nocte non sia precedente al 1307, mentre è
a quelli "de die" che si potrebbe alludere nel pagamento citato.
Comunque sia, riflessi giotteschi si rintracciano nel primo volume, ma
anche nel terzo, nel quarto e nel quinto. E in una nuova serie di Lezionari,
più tardi ma appartenenti agli stessi decenni, il miniatore sembra
conoscere da vicino gli affreschi della Cappella degli Scrovegni.
L'influenza di Giotto sui miniatori si estese a lungo, affiancata nella
seconda metà del secolo, da un'altra presenza importante per la
città: Francesco Petrarca. Grazie ai legami con i da Carrara (sotto
Jacopo II nel 1349, il poeta ottenne il canonicato presso la cattedrale
di Padova) e, soprattutto, grazie all'influenza che esercitò su
Francesco il Vecchio, Petrarca contribuì alla crescita in senso
umanistico dell'ambiente padovano. Secondo alcuni studiosi, lui stesso
lasciò ai da Carrara una buona parte della sua straordinaria biblioteca,
che custodiva libri miniati di grande bellezza, come il Virgilio realizzato
da Simone Martini ad Avignone o i tre superbi esemplari del De viris iIllustribus,
che Petrarca stesso avrebbe voluto dedicare a Francesco I da Carrara,
e che restò incompiuto alla sua morte (1374). Opere culturalmente
molto rilevanti e, in quest'ultimo caso, anche importanti per la documentazione
di lavori giotteschi andati perduti. Si ipotizza infatti che nel De viris
illustribus, oggi alla Biblioteque Nationale de France, concluso alla
morte del Petrarca dal suo segretario, Lombardo della Seta, l'immagine
del "Trionfo della Gloria" possa esser stata desunta da un dipinto
di Giotto con lo stesso tema eseguito a Milano per Azzone Visconti nel
1335.
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