Le motivazioni della committenza
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Palazzo Scrovegni con la Cappella, sulla destra,
in una stampa d'epoca; Padova
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Sante Bortolami in "Giotto e il suo
tempo" (Federico Motta editore, 2000) ipotizza anche altre motivazioni.
La sua tesi parte dalla constatazione che, nonostante l'abile politica
matrimoniale di apparentamento con casati illustri e antichi ma bisognosi
di rinsanguarsi con l'immissione di danaro fresco nei forzieri domestici,
lo sforzo di giungere a una piena legittimazione in seno a un mondo convulso
come quello comunale da parte degli Scrovegni restasse difficoltoso.
Di qui il bisogno estremo di Enrico Scrovegni di suggellare con una sequenza
visibile e clamorosa di atti pubblici il raggiunto stato magnatizio.
Nel 1294 cade la richiesta, prontamente accolta, di Enrico al vescovo
di far costruire un monastero cistercense dedicato a sant'Orsola appena
fuori città. L'affiliazione alla neonata congregazione religioso-cavalleresca
dei frati di Maria Vergine Gloriosa o Gaudenti, che si proponeva la lotta
contro le usure e l'oppressione dei deboli, va nella stessa direzione.
La decisione è presentata da fonti forse prevenute, ma certo non
male informate, come scelta ipocrita e durata peraltro non più
di un anno. In ogni caso, essa sembra rispondere alla medesima calcolata
ricerca spasmodica di accreditarsi come cavaliere di specchiata moralità.
Ignoriamo se risale a questi anni anche il giuspatronato sulla Chiesa
di San Tommaso della contrada dell'Arena passato poi alla canonica di
Santa Maria di Solesino.
Ma l'enorme investimento in termini di "immagine" cade, appunto,
nel 1300, con un vero cambiamento di casa e di quartiere. Agevolato forse
dal bisogno di liquidità dell'acquirente, acquista da Manfredo
Dalesmanini l'intera Arena.
Trasferendo il suo quartier generale, Enrico Scrovegni sapeva benissimo
quale prestigio ne poteva ricavare. Da uomo d'affari qual era, non gli
sfuggiva affatto il valore materiale del complesso di immobili di cui
diventava padrone: un palazzo con annessi bagni caldi e altri edifici
accessori, stalle per cavalli, due torrioni o "dongioni" eretti
sulle due porte d'ingresso, rispettivamente verso gli Eremitani e verso
il fiume.
Comunque sia, la trafila degli eventi e Soprattutto gli esiti tuttora
evidenti mostrano il convergente calcolo di scegliere uno scenario appropriato
per risonanza e visibilità in funzione della creazione di un "monumento"
familiare e di conferire a esso rilevanza come usuale meta liturgica della
popolazione padovana. Con la Cappella dell'Arena Enrico Scrovegni vedeva
finalmente realizzato il sogno di veder riconosciuta la sua eminenza sociale,
priva di qualunque traccia di infamia usuraia.
Ci voleva un pittore di grido, anzi il migliore in assoluto, qualunque
fosse la spesa da sostenere. A opera compiuta, ciascuno poteva ammirare
stupefatto come Giotto narrava il dramma umano della perdizione e l'annuncio
della salvezza grazie al sacrificio di Cristo.
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